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06/01/2011 / legsenigallia

Alla faccia della modernità

di Stefano Canti

Quello che sorprende di più del caso Fiat è la corsa di tutti i politici e non ad etichettare la strategia di Marchionne come la modernità, nel senso più positivo. Se da destra è ampiamente comprensibile dato il fatto della presenza di un governo il più ideologizzato possibile, in cui il Ministro Sacconi è mosso dal rancore verso la Cgil e la Fiom e quindi accecato dal piacere di emarginarla, da sinistra i riformisti eccitati dal sistema Marchionne non si capiscono proprio.

E così, beatamente, Pomigliano e Mirafiori si impongono nel discorso pubblico come luoghi-simbolo di ogni cambiamento, non solo industriale, anche dei diritti (non tenendo conto che “democrazia è la possibilità di avere voce nelle decisioni che toccano la propria vita, partecipare in qualche misura ad esse, poter discutere del proprio destino; magari per accettarlo, alla fine, anche se ingrato” e che con la minaccia e il ricatto essa è sospesa), contro ogni conservatorismo. Come scritto da Massimo Giannini su Repubblicachi non accetta la “dottrina Marchionne” è dalla parte sbagliata della Storia. Quasi a prescindere. E così, per sconfiggere l’ideologia delle vecchie sacche di resistenza corporativa, si adotta un’ideologia uguale e contraria: quella delle nuove avanguardie della modernizzazione progressiva”. Nessuno ragiona sui contenuti degli accordi. Tutti si preoccupano di giudicare i torti della Fiom che si è sfilata dal tavolo.

Bisognerebbe invece con buon senso ragionare sui dati di fatto. Si è visto, come si temeva, che, prima Pomigliano e ora Mirafiori, il sistema deve diventare la regola. Nessuna trattazione, chi ci sta bene, chi non ci sta è fuori da tutto, dalla rappresentanza e dunque dall’azienda. Poi, questo accordo è obiettivamente peggiorativo della condizione di lavoro degli operai e della funzione di diritto del sindacato. Come fatto notare da Giannini, si può anche sostenere che non c’erano alternative, e che firmare era la sola opzione consentita, per evitare che la Fiat smobilitasse. Tuttavia chi oggi parla di “svolta storica” deve riconoscere che si è trattato di una firma su un accordo basato su un ricatto.

E’ un accordo che per la prima volta riconosce il principio che chi non accetta i suoi contenuti non ha più diritto di rappresentanza sui luoghi di lavoro. C’è poco da festeggiare, quando peggiorano le condizioni di lavoro e si comprimono gli spazi del diritto. Ma, c’è un aspetto che nessuno prende purtroppo in considerazione. Nessuno ha ancora capito cosa ci sia nel piano-monstre Fabbrica Italia: quali e dove siano indirizzati i nuovi investimenti, quali e quanti siano i nuovi modelli di auto che il gruppo ha in programmazione, dove e come saranno prodotti. Perché emergono i contenuti veri del Lodo Fiat-Chrysler. “Non è la prima che ha comprato la seconda, com’è sembrato all’inizio. Ma in prospettiva sarà la seconda ad aver comprato la prima, nello schema classico del reverse take-over”.

E John Elkann? E John Elkann perché ha scelto di non esistere mentre si discute di portare via da Torino ciò che resta della Fiat, di portarla nell’ambito della semi-fallita Chrysler? Perché sembra proprio che John Elkann stia preparando l’addio all’auto. Il 34enne presidente del Lingotto accompagnando l’azienda alla svolta, di cui suo nonno Gianni era fortemente contrario, sta realizzando le idee dello zio Umberto, e si è affidato per questo al manager italo-canadese Sergio Marchionne.

Come spiegato da Marco Ferrante nel suo libro Marchionne – L’uomo che comprò la Chrysler (Mondadori 2009) – : “Mentre Marchionne rimette in sesto l’azienda, la famiglia risistema se stessa. John Elkann dichiara la disponibilità a diluire la quota di controllo in Fiat Auto per costruire un gruppo più grande”. A suo tempo già “Umberto Agnelli – emarginato dalla gestione per volontà di Enrico Cuccia, influente presidente onorario di Mediobanca – riteneva che nell’auto Torino fosse ormai troppo piccola per competere, e tanto valeva uscire dalle quattro ruote per giocare le proprie carte su altri settori più innovativi e promettenti, per esempio le telecomunicazioni” (oggi l’energia dove la mettiamo? Con il nucleare che vuole avanzare…).

Marchionnecome numero uno della Chrysler, costruisce un gruppo integrato globale dell’auto; come numero uno della Fiat, la sta dolcemente portando in dote alla Chrysler. Fingendo di avanzare, la famiglia Agnelli sta dunque uscendo dall’auto, come voleva Umberto. A un certo punto rimarrà azionista di minoranza. Mirafiori, da simbolo dell’Italia che produce (e che progetta), si trasformerà in uno stabilimento delocalizzato per la produzione low cost di Chrysler in Europa. Il gruppo Fiat continuerà a essere forte e indipendente nei settori in cui è già oggi sanamente internazionale. E John Elkann sarà il simbolo di una famiglia passata laicamente e modernamente – con molti dolori ma senza veri traumi – dalla poesia del nonno alla prosa del nipote”. E gli operai e i loro diritti?

 

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